I dodici errori più comuni nella scrittura

Nella mia piccola esperienza come scrittrice e beta-reader, mi sono accorta che gli scrittori alle prime armi incappano in errori comuni, per fortuna di semplice risoluzione.
In questo articolo, vediamo quali sono i dodici errori più comuni nella scrittura, nella speranza che possa diventare un vademecum di rapida consultazione in caso di dubbi (sì, anche quelli atroci che ci vengono dal nulla).

  1. Si scrive “in contro” o “incontro”? “In fondo” o “infondo”? “Affianco” o “a fianco”? “Apposto” o “a posto”?
    1. “In contro” vs “Incontro”. La Treccani parla chiaro: si scrive incontro, sempre e comunque. Per cui, dovrete usare la grafia tutta attaccata in qualunque caso, sia che vogliate scrivere: “Domani ho un incontro di lavoro”, sia: “Giovanni mi è venuto incontro”.
      Fonte: Treccani
    2. “In fondo” vs “infondo”. Entrambe le grafie sono corrette, ciò che cambia è il loro utilizzo. Si utilizza “in fondo” quando si vuole intendere “alla fine”: “In fondo, non era questo granché”, che potete facilmente sostituire con: “Alla fine, non era questo granché”. Se avete dubbi, provate a effettuare questa sostituzione; se va a buon fine, vuol dire che la grafia giusta è “in fondo”.
      Infondo“, invece, è voce del verbo infondere, col significato di “versare dentro” o, in senso figurato, “indurre proprietà o instillare sentimenti” (Fonte)
    3. “Affianco” vs “a fianco”. Stesso discorso di sopra: le grafie sono entrambe corrette, cambia il significato.
      Affianco” è voce del verbo affiancare, da utilizzare in frasi del genere: “Affianco quella macchina per rovinargli la carrozzeria”.
      A fianco“, invece, lo si utilizza per indicare “a lato di”.
    4. “Apposto” vs “a posto”. Anche qui, stesso discorso.
      Apposto” è voce del verbo “appostare”: “Mi apposto qui, così vedo quando arriva.”
      A posto“, invece, si usare per indicare che qualcosa va bene, che è tutto ok: “Tranquillo, è tutto a posto.”
  2. Sì, lo voglio!

    1. È uno degli errori che ritrovo più spesso: il sì affermativo va sempre accentato.
  3. Sé, se, se stesso: quando usarli?
    1. : in questo caso, stiamo parlando del pronome riflessivo e si usa quando è riferito al soggetto: “Giovanni è pieno di sé”; “Lo porta sempre con sé” e così via. La grafia accentata serve a non confonderlo con la congiunzione. Fonte: Treccani.
    2. Se: qui si parla della congiunzione, che è corretto utilizzare in frasi tipo: “Se non piovesse, uscirei”
    3. Se stesso: poiché in questo caso non è possibile confondere il pronome riflessivo “se” con la congiunzione, la grafia corretta è quella senza accento, “se stesso”.
  4. Virgola tra soggetto e verbo.
    Non c’è storia: la virgola tra soggetto e verbo è errata. Forse qualche autore si concede una licenza poetica qui e là, ma in linea di massima è sbagliato, anche quando il soggetto è chilometrico. È dunque corretto scrivere: “Marco mangia una mela”, ma anche: “Le elaborazioni che oggi non sono finite in errore ma che hanno dato problemi ripartiranno regolarmente domani” (sì, la frase è orribile).
  5. I numeri.
    I numeri vanno scritti in lettere? La risposta è: dipende. Si scrivono in cifre quando si tratta di date o risultati scientifici (esperimenti, dati statistici e via discorrendo); in tutti gli altri casi, si scrivono in lettere. È dunque corretta la seguente frase: “Nel 1968, la rivolta coinvolse circa ventimila persone e si stima che il 20% di loro fosse di origine islandese. La più giovane, Amelia, aveva solo sette anni.”
  6. È-È-È
    Fate copia-incolla se volete, impostate dei tasti di scelta rapida; qualunque cosa. L’importante è che il verbo essere, coniugato al presente in terza persona singolare, sia sempre scritto con l’accento e mai con l’apostrofo! Bandite dunque dai vostri testi quell’odio “E'” e fate spazio alla sua versione corretta (e, francamente, più elegante): È. Se non sapete come farlo, assicuratevi di avere il tastierino numerico attivo e poi premete il tasto Alt insieme alle cifre 0200.
    Magia!
  7. Che ridere! (E che male)
    – AHAHAHAH, che ridere! –
    – AAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAH! Che maleeeeeeeeeeeeeeeeee! –
    Come dire… no. Ci sono due o tre cosette, in queste battute, che sono il Male (quello vero, però):

    1. La scrittura in maiuscolo. Cercate sempre di evitare di scrivere parole tutte in maiuscolo. In generale, la vostra sola scrittura dovrebbe avere il potere di trasmettere la scena al lettore. Nel momento in cui si abusa di espedienti narrativi grafici (parole strascicate, in maiuscolo, in corsivo, in grassetto), allora vuol dire che c’è qualcosa che non va nella vostra narrazione.
    2. I gemiti per esprimere le sensazioni. Se il vostro personaggio deve proprio urlare, non importa che intasiate il vostro capitolo con una parola chilometrica (no, più “a” non acuiscono il dolore), ma è sufficiente che lo scriviate:
      “Giovanni sbatté il mignolo contro il comodino. La stanza si riempì con le sue grida di dolore.
      – Che male! -“
    3. Le parole strascicate. Qualche volta ci sono cascata anch’io, perché il personaggio aveva un modo di parlare particolare e, a un certo punto, strascicava le parole. Rileggendolo dopo qualche giorno, però, l’ho trovato ridicolo. Se il vostro personaggio si porta dietro un numero infinito di vocali, basta scriverlo:
      “- Vieni alla festa, ti prego! – e quella ‘o’ finale fu più lunga di uno strascico.”
  8. I… Tre… Puntini…
    Come dico sempre, sono fermamente convinta che i tre puntini altro non rappresentino che l’indecisione dell’autore sulla prossima parola da scrivere. Se una persona esita nel parlare, è perché sta cercando di comunicare qualcosa: teme il giudizio dell’altra persona, ha dimenticato le battute, non crede in quello che dice. Qualunque sia la ragione della sua esitazione, sarà espressa con un linguaggio non verbale molto prezioso: abbassa lo sguardo? Apre e chiude la bocca, senza che ne esca alcun suono? Guarda smarrita di fronte a sé?
    Questo è ciò che dovete mettere al posto dei famigerati tre puntini; dovete cioè trascrivere il modo in cui la frase viene espressa, specialmente tramite il linguaggio non verbale. Mi rendo conto, però, che sia un’operazione che porta via tempo e piuttosto difficile per uno scrittore alle prime armi.
    A mio giudizio, quindi, l’autore mette i tre puntini perché sta pensando. Qual è la prossima parola da scrivere? Qual è il dettaglio su cui porre l’attenzione?
    Il problema degli autori più inesperti è che non lo sanno, quindi mettono i tre puntini in attesa di trovare le risposte e lasciano al lettore il compito di capire cosa si nasconde dietro l’esitazione del personaggio (e dell’autore). Ogni volta che trovate i tre puntini all’interno dei vostri dialoghi, fermatevi un attimo a riflettere: perché il personaggio esita? Che cosa sta provando in quel momento e come posso manifestarlo al lettore?
  9. Prima, seconda, terza.
    Questo è uno degli errori più frequenti negli scrittori alle prime armi, ovvero il cambio di persona improvviso all’interno del testo. Giusto l’altra sera, stavo leggendo un racconto, dove la protagonista è una ragazza di nome Charlotte, e conteneva una frase di questo tipo:
    “Mentre aspettavo che la mia amica finisse, fui indirizzata in una sala da biliardo.”
    La storia poi proseguiva così:
    “Charlotte annusò l’aria in quella stanza: c’era odore di speck e patate, che lei detestava profondamente.”
    Finito di leggere questo pezzo, la mia prima reazione è stata: “Ma Charlotte non era la protagonista? Di chi ho letto finora?”. Quindi sono tornata indietro per rileggere tutto da capo, ma non avevo dubbi: la protagonista era proprio lei. Soltanto in un secondo momento ho notato che la persona era cambiata, senza alcun motivo apparente. Una volta capito il disguido, sono riuscita a proseguire la lettura, ma i cambi di persona immotivati hanno questo duplice effetto: abbassano la qualità complessiva della storia e generano un’enorme confusione nel lettore.
    Attenzione, dunque!
  10. L’arte del multi-tasking.
    Ci sono persone che riescono a fare molte cose contemporaneamente, ma la maggior parte dell’umanità, purtroppo o per fortuna, fa una cosa alla volta. Quando si immaginano delle azioni, spesso si tende sovrapporle, perché la nostra mente non è vivida come la realtà, ma è più un guazzabuglio di pensieri e immagini. Va da sé che azioni che dovrebbero essere sequenziali possono essere immaginate come svolte in contemporanea.
    Ed ecco che qui viene in nostro soccorso il gerundio, il tempo verbale del multi-tasking. È possibile, dunque, che in un testo vi siano frasi come questa:
    “Sara estrasse il telefono dalla borsa, digitando il numero di sua madre.”
    Fermiamoci un attimo. Questa frase implica che, nello stesso istante in cui Sara sta estraendo il telefono, stia anche componendo il numero della madre. Proviamo a immaginare la scena o, meglio, a simularla. Io, francamente, non ci riesco: prima estraggo il telefono dalla borsa e dopo compongo il numero da chiamare.
    Il problema delle frasi col gerundio, oltre a una scorrettezza stilistica in certi casi, è che generano confusione nel lettore. Questi, infatti, proverà a immaginare la scena esattamente come l’avete descritta, trovandosi però in difficoltà e perdendo tempo prezioso per la lettura. Nel momento in cui si spezza la magia, infatti, scema anche l’interesse che eravate riusciti a creare con quella scena.
    Pensate bene a come descrivete le azioni, perché forse è più probabile che: “Sara estrasse il telefono dalla borsa, dopodiché digitò il numero di sua madre.”
  11. Mangia Mario!
    No, aspetta! Non volevo che tu mangiassi Mario! Volevo solo dire che–
    Troppo tardi. Ormai Mario è stato mangiato. Ma ti dirò una cosa: una virgola poteva salvargli la vita.
    Stiamo parlando, infatti, di vocativi. Il vocativo esprime una chiamata, un richiamo o un’invocazione e vuole sempre essere circondato da virgole.
    Proprio così; ognuno ha i suoi gusti.
    Scherzi a parte, le regole sono molto semplici: il vocativo vuole la virgola, prima e dopo, anche se ovviamente dipende dai casi. Per fare qualche esempio:
    – Mamma, non rompere! – (vocativo a inizio frase): dopo “Mamma”, come si può vedere, c’è una virgola;
    – Credimi, Alberto, è così. – (vocativo in mezzo): “Alberto” è circondato da virgole;
    – Non è vero, Giada! – (vocativo a fine frase): “Giada” è preceduto da una virgola.
    Se avessimo scritto: “Mangia, Mario”, avremmo solo esortato il povero Mario a mangiare qualcosa.
  12. Regole della punteggiatura.
    Chiudiamo questo prontuario con alcuni richiami di punteggiatura. Probabilmente non è un elenco completo, ma è sufficiente a correggere gli errori più basilari.

    1. Virgola, punto, punto esclamativo/interrogativo, due punti: niente spazio prima, uno spazio dopo;
    2. Virgolette alte/caporali: nessuno spazio per la frase riportata all’interno;
    3. Trattini: uno spazio dopo il trattino di apertura del dialogo, uno spazio prima del trattino di chiusura del dialogo.
    4. Esempio:
      “Ciao, Mario. Vieni alla festa? Dai! Ti do un buon motivo: ci sarà Alessia.”
      – Come vuoi; non mi interessa –

Nella mia esperienza, questi sono gli errori più comuni che riscontro nei principianti.
Vi è stato utile? Spero di sì!

Alla prossima!

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Comments

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2 pensieri su “I dodici errori più comuni nella scrittura

  1. Trovo questo articolo molto utile.
    Però, non mi trovi d’accordo sull’ultimo punto. Il punto si può mettere dopo le virgolette.
    Ad esempio, è corretto anche scrivere: “Ci sarà Alessia”. Esistono diversi modi di mettere quel tipo di punteggiatura, tutti giusti. L’importante è sceglierne un tipo e continuare con quello.

  2. Ciao!
    Ti ringrazio moltissimo per il commento e sono felice che l’articolo ti sia stato utile.
    Riguardo a ciò che dici, ti riferisci alla punteggiatura all’interno dei dialoghi? In quel caso, hai perfettamente ragione: l’importante è scegliere uno stile e proseguire con lo stesso per tutta la durata della storia.
    Quello che intendevo nel punto dodici era molto più generico, perché spesso mi ritrovo frasi del tipo: “Gaia era una ragazza carina ,simpatica e onesta ( e una brava cantante) . ”
    Insomma, talvolta non vengono rispettate le regole di “spaziatura” (passami il termine) della punteggiatura, ed era su questo che volevo focalizzare l’attenzione.
    Riguardo ai dialoghi, conosco un pdf molto utile, dove sono scritte tutte le regole utilizzate dalle varie case editrici; probabilmente lo conoscerai, ma te lo lascio lo stesso: http://www.oblique.it/images/formazione/dispense/punteggiatura_dialoghi_scheda.pdf

    A presto e grazie per il commento!

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