Come migliorare il ritmo di una storia

Immaginate un film: per guardarlo, premete il pulsante Play del vostro telecomando; se volete scorrere una parte, premerete il pulsante di Avanti Veloce; se invece volete andare più lenti, premerete il Rallentatore.
È ovvio che in Avanti Veloce o al Rallentatore la vostra visione del film sarà distorta: troppo veloce nella prima opzione, troppo lenta nella seconda.

Per una storia, funziona allo stesso modo e questa caratteristica è ciò che si chiama ritmo. Il ritmo, infatti, definisce la velocità con cui le scene vengono descritte, ma l’effetto finale deve sempre essere quello di una distribuzione equilibrata dei dettagli.

L’IMPORTANZA DEL RITMO

Potreste chiedervi adesso quali effetti possa provocare un ritmo sbilanciato all’interno della vostra storia. In linea teorica, gli svantaggi sono principalmente i seguenti:

  1. Il lettore non avrà il tempo di immaginare nel modo corretto tutte le scene da voi descritte; farà infatti una fatica enorme a ricreare l’immagine nella sua testa, perché sarà costretto a elaborare la scena successiva senza aver finito di ricreare la precedente. Il risultato sarà un Avanti Veloce tra le scene che, proprio come nel film, farà perdere al lettore un sacco di dettagli importanti (ambientazione, dialoghi, reazioni dei personaggi);
  2. Non è possibile far germogliare alcuna emozione nel lettore: infatti, quando una storia ha un ritmo sbilanciato, è molto difficile creare il climax giusto per la vostra scena o, al contrario, si può incorrere nel rischio di annoiare troppo il lettore. In entrambi i casi, non avete portato avanti il vostro dovere di scrittore, e cioè quello di trasmettere qualcosa (di buono).

UN ESEMPIO PRATICO

Di seguito, vediamo un esempio di Avanti Veloce. Prendo in considerazione questa casistica perché è quella in cui gli scrittori alle prime armi incappano più facilmente. Come caso d’uso, utilizzerò una parte di una storia che ho realmente betato, utilizzando nomi di fantasia per i personaggi.

La storia viene aperta da un’introduzione piuttosto interessante, dove si lascia intuire al lettore che la protagonista ha fatto una scoperta scioccante, che le ha stravolto la vita. Così, la ragazza decide di raccontarci “tutto dall’inizio”.

Ero uscita a fare shopping ed ero ritornata a casa. Ero sorpresa di non trovare nessuno così avevo aperto la porta con la mia chiave. Dopo poco era arrivato anche John, che ad essere sincera non ho idea di dove fosse andato, e ci stupimmo entrambi. La mamma era una di quelle donne sempre chiusa in casa ad aspettare che il marito ritornasse dal lavoro e non ci era mai capitato di non trovarla ritornando. Dopo aver chiacchierato un po’ sul divano del salotto, ci accorgemmo di una lettera messa al centro del tavolo da pranzo, ci avvicinammo incuriositi. Era per noi. C’era chiaramente scritto: “Per Catherine e John”. Non ci aspettavamo una lettera, per questo ci accomodammo sul divano con l’intenzione di stare più comodi nel caso si trattasse di una cosa lunga. Era una lettera della mamma.

Chiacchierando un po’ con l’autrice, riuscii a capire che la scomparsa della mamma e la lettera erano i punti focali della storia. Proprio perché tali, a mio giudizio meritavano più attenzione, ma, soprattutto, un po’ di suspence in più non avrebbe fatto male. Insomma, la madre è una tipa che rimane sempre chiusa in casa, la sua assenza deve destare un’enorme preoccupazione nei figli! Questo pezzo, invece, dà l’impressione di essere in Avanti Veloce e sembra quasi che i due ragazzi non siano troppo straniti dall’assenza della madre.
Come possiamo fare, dunque, per esprimere la preoccupazione della protagonista? Prima di tutto, dobbiamo dare una definizione di “preoccupazione”; se non sappiamo spiegare cos’è e come si manifesta, come possiamo descriverla?
Potremmo dire che la “preoccupazione” è uno stato emotivo di agitazione in risposta a una situazione anomala, dove con “situazione anomala” si intende una situazione con un esito differente da quello atteso.
In questo caso, l’assenza della madre altera la quotidianità dei ragazzi, trasformandosi così in una situazione anomala, che fa agitare in particolar modo la protagonista, la quale si ritrova a fronteggiare un evento inatteso.
Questo è, in sostanza, ciò che dobbiamo descrivere: l’evento inatteso e la risposta fisica/emotiva che genera. Ci sono alcune persone che prima reagiscono d’istinto e poi pensano, altre che prima pensano e poi si lasciano andare all’emotività; non c’è un ordine specifico per descrivere la preoccupazione, l’importante è che sia realistico o verosimile e che sia coerente con il personaggio.
Io ho scelto la prima opzione e le ho quindi proposto un’alternativa, improvvisata sul momento – quindi non di qualità eccelsa, ma è giusto per rendere l’idea:

Ritornai a casa dopo un lungo pomeriggio di shopping. Con una mano occupata e l’altra pure, suonai il campanello, aspettando che mamma aprisse. Cinque, dieci, quindici secondi. Nessuna risposta. Dove si era cacciata? Suonai ancora una volta e sperai che aprisse al più presto, perché le mani non reggevano più. Ma quanto potevano essere pesanti queste borse? Nell’attesa, mi trovai intenta a osservare le ditate che qualcuno aveva lasciato sul nostro campanello d’ottone, per poi accorgermi che era passato più di un minuto, ma di mamma nessuna traccia. Sentii il cuore che cominciava a battere più forte del solito, mentre un senso di inquietudine mi avvolse senza che me ne accorgessi. Poggiai le borse a terra, infilai la mano dentro la borsa e, vittoriosa per aver trovato le chiavi, le inserii nella serratura più velocemente possibile. Il respiro cominciava a spezzarsi, ero davvero preoccupata. Mamma era il tipo di donna che aspettava il marito a casa ogni giorno e non ci era mai capitato di non trovarla a casa. Dove poteva essere andata? Salii di corsa le scale e mi precipitai al portone. Cominciai a battere i pugni sulla porta e chiamare mamma, ma non ricevetti alcuna risposta. Poco dopo, sentii dei passi sulle scale: era John. Mi guardò senza capire, stupito dal mio respiro affannato, mentre continuavo a suonare il campanello, preoccupata.

«Cathy, che succede?»

«Mamma non è in casa!»

John aggrottò le sopracciglia e mi strappò le chiavi di mano, poi le infilò nella serratura e spalancò la porta. Di mamma nessuna traccia.

Manca la parte della lettera, ma spero che l’intento sia chiaro. Mi sono soffermata molto di più su ciò che era importante trasmettere, cioè la preoccupazione della ragazza, che cresce piano piano, per poi sfociare in vera e propria agitazione.
Quando si vuole costruire un climax, è necessario rallentare un po’ il ritmo della narrazione, soffermandoci quindi su quanti più dettagli possibili, senza ovviamente scadere nell’eccesso opposto. Quando si parla di dettagli, è bene usare delle immagini concrete (ne avevamo parlato qui), in modo che il lettore possa facilmente immaginare le scene e vivere così le stesse emozioni del protagonista.

Analizziamo adesso l’esempio sopra riportato: per prima cosa, ho scandito il passare dei secondi (“Cinque, dieci, quindici secondi. Nessuna risposta. Dove si era cacciata?”), poi ho continuato con una narrazione lenta soffermandomi su alcuni dettagli concreti (“mi trovai intenta a osservare le ditate che qualcuno aveva lasciato sul nostro campanello d’ottone, per poi accorgermi che era passato più di un minuto”) che fanno intuire il passaggio da un evento normale a uno problematico.
A questo punto, la protagonista ha capito che la situazione è anomala, quindi comincia a nascere l’agitazione dentro di lei: la prima reazione è prettamente fisica (“Sentii il cuore che cominciava a battere più forte del solito”), poi si sposta sulla gestualità (“infilai la mano dentro la borsa e, vittoriosa per aver trovato le chiavi, le inserii nella serratura più velocemente possibile”), per poi ritornare nuovamente sulle sensazioni fisiche, stavolta rinnovate e più intense (“Il respiro cominciava a spezzarsi”).
Dopo le prime reazioni istintive, cominciano a seguire quelle razionali (“Mamma era il tipo di donna che aspettava il marito a casa ogni giorno e non ci era mai capitato di non trovarla a casa.”), che servono a fare il punto della situazione e a osservare la vicenda in modo più oggettivo. La descrizione si sposta nuovamente sulla gestualità, maggiormente consapevole una volta analizzato l’evento in modo razionale (“Salii di corsa le scale e mi precipitai al portone. Cominciai a battere i pugni sulla porta e chiamare mamma, ma non ricevetti alcuna risposta.”).

Se dovessimo riassumere la scena in fasi più astratte, potremmo evidenziare i seguenti stadi:

  1. Reazione istintiva a una situazione anomala;
  2. Razionalizzazione della situazione anomala;
  3. Azioni derivate da un’analisi della situazione anomala.

Quello che conta è identificare la situazione che si vuole descrivere, cercando di individuare i passaggi che possano rendere realistica la scena, per conferirle così il ritmo più adatto.
In generale, quando riusciamo a fare una trasposizione dei nostri pensieri più carta, la scena assume il ritmo giusto, perché scorre in Play sia nella nostra testa, sia nel racconto. È quindi essenziale che il lettore abbia il tempo di addentrarsi nella scena, nei problemi del protagonista e nelle emozioni che scaturiscono dall’ambiente che lo circonda.

COME CAPIRE SE LA NOSTRA SCENA HA UN RITMO ALTERATO

A questo punto, vi starete chiedendo com’è possibile capire se abbiamo un problema di ritmo. Gli scrittori più navigati sono capaci di capirlo da soli, perché rileggendo si accorgono che la scena è andata avanti troppo velocemente, rispetto a come l’avevano pensata; riescono infatti a ricrearla usando solo le informazioni presenti nel racconto, senza lasciarsi influenzare da ciò che già conoscono, in quanto autori.
Per gli scrittori alle prime armi, invece, potrebbe essere un problema, perché tendono a fare più affidamento sulla versione che hanno in testa, piuttosto che su quella che hanno trasposto su carta.
È qui che entra in gioco il parere esterno, che può essere quello di un beta-reader (ne avevamo parlato qui) o anche solo di un vostro conoscente. Una persona che non è nella vostra testa si accorgerà subito che la scena si consuma troppo in fretta e che ha bisogno di essere rallentata un po’. Per fare questo, come abbiamo visto, è sufficiente sezionare la scena che vogliamo descrivere e le emozioni che genera.
A ogni modo, non preoccupatevi se incappate in questo problema, perché è molto comune tra i principianti! Come dico sempre, l’esercizio costante è l’unica cura disponibile  😉

Spero che l’aver “dissezionato” quel piccolo pezzo vi sia stato di una qualche utilità. A suo tempo, mi fu molto utile una critica costruttiva, dove mi si diceva che la mia storia era superficiale e non si capiva nemmeno quanto tempo era passato tra un capitolo e l’altro (sigh). Di questa triste vicenda vi parlerò un’altra volta, ma devo dire che fu sufficiente per farmi rileggere la storia con un occhio più oggettivo e per spingermi a correggere quegli errori di cui ero, ahimè, consapevole.
Voi come avete risolto i vostri problemi di ritmo? Avete qualche tecnica specifica?
E come avreste riscritto il pezzo utilizzato come esempio?  😛

Alla prossima!  🙂

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