Le trappole della scrittura: comportamenti inspiegabili

Sono ormai passati più di dieci anni da quando ho pubblicato, su un noto sito, la mia prima storia originale. Ero molto orgogliosa del mio piccolo lavoro, pensavo che fosse una storia originale e piena di colpi di scena…

… Peccato che fossi l’unica a pensarlo.

I PRIMI PROBLEMI
La storia in questione ha come protagonista un adolescente gay, Matt, che vorrebbe tanto fare la conoscenza del ragazzo che gli piace, Angelo. Con un pizzico di incoscienza, però, Matt perde una rivista omosessuale abbastanza compromettente mentre è a scuola, scatenando in lui tutta una serie di tensioni e paure, visto che nessuno sa che è gay. Per un caso fortuito, comunque, i due ragazzi effettivamente fanno conoscenza e sembrano andare abbastanza d’accordo, così, insieme a due amiche, decidono di organizzare un’uscita a quattro.
Qualche giorno prima dell’uscita, però, Matt riceve un messaggio di Angelo dove questi gli dice che è uno stronzo e di non farsi vedere mai più.

Ai lettori la domanda è sorta spontanea: perché?

I LETTORI NON HANNO LA PALLA DI VETRO
Nella mia mente tutto era chiarissimo (ora un po’ meno). C’era ovviamente una motivazione che aveva spinto Angelo a comportarsi in quel modo, ma doveva essere un colpo di scena e volevo lasciare la curiosità nel lettore. Il problema, però, è che al lettore avevo lasciato solo confusione, perché si era ritrovato a leggere di un personaggio che compie gesti assurdi senza alcuna motivazione apparente.
Ai lettori che mi chiedevano spiegazioni, rispondevo che si sarebbe scoperto tutto più in là nella storia e di stare tranquilli, ma al tempo stesso non capivo chi mi criticava.

La verità, che ho scoperto molto dopo, è che i lettori non hanno la palla di vetro, non possono sapere cosa frulla nella mia testa e, se voglio mantenere comunque questo alone di mistero, mi devo ingegnare in qualche modo affinché la storia non appaia campata in aria.

Questo vuol dire quindi eliminare i colpi di scena? Certo che no! Vediamo insieme come fare.

BASTA UN PENSIERO
Il rimedio, in realtà, è piuttosto semplice.
Se vogliamo inserire un evento che al momento della lettura appare enigmatico, inspiegabile o incoerente, l’unico modo per non abbassare la qualità della storia è scriverlo esplicitamente. È come dire al lettore: “Tranquillo, non sei tu a essere strano; qua effettivamente c’è un mistero!”.
Come tradurre questo nella scrittura? Occorre soltanto inserire un pensiero del personaggio, un dialogo, un’azione che faccia capire che lui è rimasto perplesso almeno quanto noi.
Se nella mia storia avessi scritto, come pensiero di Matt:

“Cosa significava quel messaggio? Perché Angelo mi aveva risposto così? Eppure sembrava che andassimo d’accordo…”

avrei risolto la questione in un attimo. Il lettore si sarebbe trovato comunque spiazzato, ma avrebbe condiviso le sue perplessità col protagonista, avendo l’impressione che lo smarrimento fosse voluto e, soprattutto, gestito dall’autore nelle pagine successive. Invece, a causa della mia inesperienza, Matt reagiva rispondendo a tono al messaggio di Angelo, senza porsi alcuna domanda, facendo quindi credere al lettore che la motivazione fosse già stata spiegata, quando così non era.

IL CASO DEI SENTIMENTI
Diverso è il caso in cui l’evento inspiegabile riguardi i sentimenti di un personaggio: mi è capitato più volte di leggere storie dove i personaggi perdono i genitori, ma tornano allegri e pimpanti dopo pochi minuti. Questo talvolta accade per via di uno stile acerbo e di una capacità ancora non troppo affinata di costruire un intreccio, ovvero viene inserito un evento del genere solo per far colpo sul lettore o per portare la trama su certi binari; altre volte, però, questo è l’effetto che si genera quando l’autore non è ancora capace di descrivere una ferita profonda come un trauma, facendo risultare la storia quasi surreale. Se l’obiettivo è far credere al personaggio stesso che non gli importi nulla di quanto accaduto, bisogna far leva su altri stratagemmi, che riguardano prettamente il linguaggio non verbale.

L’esempio più semplice è quello di un personaggio che si mostra allegro e gioviale, ma che, anche se solo per qualche attimo, ogni tanto si perde nel vuoto, il viso si rabbuia per poi rasserenarsi subito dopo.

Questo potrebbe essere l’esempio che riguarda un personaggio che, nonostante la perdita, finge di stare comunque bene:

“Se lo guardavi soltanto, sembrava felice; ma se lo osservavi davvero, se non sbattevi le palpebre proprio in quell’attimo, potevi vedere i suoi occhi vuoti, spenti, persi in quel vuoto incolmabile. Rideva, inventava pure barzellette, forse anche più del solito; poi passava una famiglia con una bimba piccola e lui lasciava che il suo sguardo li seguisse, che la sua sagoma si adombrasse per andare da loro e sparire da noi. E nemmeno riuscivi ad accorgerti che la sua risata non c’era più, tanto era sovrastata dalle altre; ma se ti voltavi, in quel solo e unico attimo, eccolo che lo scorgevi, in tutta la sua fragilità.”

Ovviamente, in base alla persona che utilizzate o alla velocità della narrazione, potete spargere gli indizi scritti sopra in episodi diversi e dilatatati nel corso dei capitoli, oppure potete usare un po’ più di “mostrato” e descrivere con maggior dettaglio le barzellette e la scena con la famigliola. Quello che ho utilizzato è il punto di vista di un’amica che riesce a vedere attraverso l’apparente felicità del ragazzo, ma potete anche usare una visione più distaccata e far sì che sia il lettore a trarre queste conclusioni.

Insomma, il punto è sempre quello: dove le parole non arrivano, ci sono i gesti. E allora, sbizzarritevi! 😛

E voi vi siete mai trovati di fronte a eventi assurdi? C’era una spiegazione, alla fine?

Fatemi sapere, alla prossima!

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