“Ho perso l’ispirazione”: come ritrovare la voglia di scrivere

Un paio di articoli fa, abbiamo parlato del blocco dello scrittore e di come superarlo. Nello scrivere quell’articolo, però, ho dato per scontato che la storia in corso suscitasse in voi un qualche interesse.

Può succedere, però, che talvolta si cominci a dubitare della propria storia, con conseguente perdita dell’ispirazione e della voglia di scrivere.

La domanda sorge spontanea: come ritrovare il desiderio di scrivere e portare avanti il proprio lavoro? Prima di rispondere, cerchiamo di capire cosa può rappresentare la scrittura per ciascuno di noi.

INIZIA TUTTO CON CARTA E PENNA
Molti di noi hanno cominciato a scrivere molto giovani; alcuni scrivendo piccole storielle, altri raccontandole, ma eravamo tutti accomunati da una stessa voglia: trasmettere qualcosa. Col passare del tempo, abbiamo cominciato a prendere in mano la penna (o la tastiera del computer) e a dare una forma più consistente a quello che, fino a qualche tempo prima, era poco più che un istinto. La scrittura, da insieme di parole disordinate, si è trasformato così in un qualcosa di più articolato: abbiamo cominciato a pensare a dei personaggi, a una trama, a dei lettori.

Nel momento in cui l’universo della scrittura si è spalancato di fronte a noi, ne abbiamo visto la bellezza, ma anche l’immensità… E qui sono cominciati i primi problemi.

Cosa significa la scrittura per noi? Perché scriviamo? E perché, certe volte, non scriviamo (o non ci riusciamo)? Per rispondere a queste domande, è necessario capire il ruolo della scrittura nella nostra vita.

LA SCRITTURA COME ESPRESSIONE DI SÉ
La scrittura, per ciascuno di noi, ha un ruolo differente. Ci sono molte persone che scrivono per sfogarsi, per dar voce ai loro disagi, riportando momenti della loro giornata o facendo immedesimare personaggi immaginari in situazioni vissute dall’autore; altre persone, invece, scrivono per il piacere di trasmettere delle emozioni, di coinvolgere il lettore nelle proprie avventure.
Io, per esempio, appartengo alla seconda categoria: non sono mai stata capace di sfogare i miei sentimenti su carta e, quando sento di avere un problema, mi chiudo a riccio anche nei confronti della scrittura.
A ogni modo, i nostri racconti o romanzi sono sempre istantanee delle nostre vite. I personaggi possono rappresentare la persona che siamo, che vorremmo essere o che siamo stati, ma possono anche essere espressione delle nostre paure e dei nostri desideri. Da qualunque lato la si guardi, la scrittura ci rappresenta ed è espressione di ciò che siamo.
Spesso sembra che non sia così, ma, per esperienza, vi posso dire che mi è successo diverse volte di creare personaggi che credevo un qualcosa all’infuori di me, per poi scoprire, nel momento in cui cercavo di delineare la loro storia, che erano solo una mia sfaccettatura a cui non avevo prestato attenzione.
I nostri personaggi e le storie che vivono quindi ci rappresentano a 360°, e trovo che questo fenomeno sia meraviglioso. Attraverso i nostri scritti, possiamo rivivere la persona che eravamo al momento della stesura e, rileggendo, sembra quasi di avere il nostro io di anni prima seduto accanto a noi.

Ciò detto, va da sé che, quando il legame con la nostra storia si spezza, vuol dire che c’è un problema con la persona che eravamo quando abbiamo cominciato a scrivere. Spesso è un fenomeno che deriva solo dall’età, in quanto molte scrittrici sono piuttosto giovani, ma può anche dipendere da eventi della nostra vita che, in qualche modo, hanno lasciato il segno.

IL CAMBIAMENTO DELLO SCRITTORE
Il primo caso, come dicevo, dipende dall’età. Quando si buttano giù i primi scritti, si è presi forse dall’entusiasmo di raccontare qualcosa, senza avere veramente a cuore la vicenda o i personaggi. In altre parole, non siamo ancora entrati in empatia con la scrittura e il significato che ha per noi.
Mi è capitato di cominciare a seguire una ragazzina nel pieno dei suoi quattordici anni, e la prima storia che scrisse era una vicenda liceale abbastanza stereotipata e, per certi versi, inverosimile (c’era un ragazzo che diventa dottore a diciotto anni, per dire).
Dopo circa un anno, è venuta da me e mi ha detto: “La mia storia non mi piace più, cambiamola”. Mi ha così descritto la nuova trama che le era venuta in mente e, leggendola, ho capito che molti eventi da lei pensati avevano a che fare con la sua vita. In altre parole, voleva una storia più sua. Voleva scrivere di qualcosa che fosse vicino alla sua esperienza, a ciò che provava tutti i giorni.
Così è stato per un altro paio di volte. Pensava che mi sarei spazientita, e invece non sono rimasta sconvolta da questo suo continuo cambio di idee. Anzi, a ogni trama che mi proponeva, notavo che era sempre più qualcosa di più vicino alla sua esperienza e sensibilità.
Ho giudicato questo cambiamento molto positivo, perché indicava un approccio più maturo verso la scrittura e credo, in realtà, che l’instabilità delle proprie trame nei primi anni di scrittura sia qualcosa di fisiologico; io stessa sono passata da questo periodo e sono stata felice di aver seguito il mio istinto.

Perché questo è, secondo me, ciò che dovete fare: seguire l’istinto. Le vostre storie parlano di voi ed è giusto che le sentiate vicine.
Se quindi cambiate spesso idea, non vi preoccupate: vuol dire che state cambiando e maturando e questo non può che essere un bene!
Cosa fare dunque con la propria storia? Il mio consiglio è quello di lasciarla da parte e cominciare qualcosa di nuovo. Mi raccomando, però, non buttate via niente! Ho scoperto che l’arte del riciclo è molto importante nella scrittura  🙂

E se invece l’adolescenza l’avete passata da un pezzo? In questo caso, dovete capire perché avete cominciato a scrivere proprio quella storia. Magari avevate subìto una delusione, c’era stato un cambiamento importante o credevate fortemente in qualcosa; poi il tempo ha fatto il suo dovere e queste sensazioni sono diventate acqua passata, creando un distacco tra voi e il vostro lavoro. Infatti, nel momento in cui il catalizzatore svanisce, è normale che si porti via anche l’interesse per ciò che state scrivendo.
Se proprio non sentite più alcuna affinità con la storia e le sue tematiche, smettete di scriverla. Trovo controproducente portare avanti un racconto che non ci piace per la sola picca di non lasciarlo incompiuto, oltre al fatto che sarà una vicenda davvero poco ispirata.
Se invece la vostra storia continua a piacervi, ma c’è qualcosa in cui non vi riconoscete più, semplicemente eliminate quell’elemento. E se questo implicasse il dover riscrivere la storia da capo, riscrivetela.
Mantenete ciò che sentite vostro e reinventatelo!

UNO STILE NON TROPPO MATURO
Può succedere, però, che l’interesse svanisca per un altro motivo. Magari la storia vi piace, vi diverte scriverla, amate i personaggi… Eppure, rileggendola, proprio non vi convince.
Insomma, in altre parole, non siete soddisfatti del vostro stile di scrittura, pensate di valere poco e nulla come scrittori e vi lasciate prendere dallo scoramento, abbandonando il vostro lavoro.
Questo è, in realtà, un circolo vizioso: vedete del potenziale nel vostro racconto, buttate giù qualcosa, lo rileggete e vi schifate, smettete di scrivere.

Ve lo dico: è quanto di più sbagliato possiate fare!

Come per tutte le arti, per affinarle ci vuole del tempo. Bisogna provare e riprovare, anche fallire, ma poi vedrete che, in mezzo a tutta quella roba che considerate spazzatura, c’è una frase, un paragrafo o addirittura un’intera scena che merita di essere letta.
Ecco, fatelo per quella scena. Il solo fatto che esista dovrebbe essere la prova, per voi, che avete del potenziale. È lì, nascosto, ma solo esercitandovi potete farlo uscire! Quello che vi manca è solo il mero esercizio.

Dunque, il consiglio finale è questo: scrivere, scrivere, scrivere!
E mi raccomando: scrivete sempre e solo ciò che sentite vostro  😉

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