Descrivere i personaggi: i due errori più comuni (e come evitarli)

In questo post, parleremo di come descrivere i personaggi. Di come crearne ne avevamo già parlato tempo addietro, in questo post, ma oggi vorrei focalizzare l’attenzione su alcuni errori che si commettono quando si è alle prime armi.

I personaggi sono l’anima del nostro racconto, talvolta anche più importanti dell’intreccio stesso, ed è dunque essenziale che siano caratterizzati a dovere. Quando si inizia a scrivere, però, spesso non si è del tutto consapevoli di come renderli vivi e a tutto tondo.

Infatti, magari avete cominciato a scrivere la vostra storia e vi siete resi conto che i vostri personaggi non sembrano avere vita propria; vi appaiono piatti e stereotipati, vorreste provare a dar loro più vita, ma ogni tentativo sembra solo una forzatura. Se ci aggiungiamo poi il confronto con altri autori, ecco che l’autostima scende a zero, e cominciamo a domandarci com’è possibile che i loro personaggi sembrino così veri, mentre i nostri sono più piatti di una foglia secca.

Dar vita a personaggi autentici è una delle sfide più ardue dell’intera scrittura, ma possiamo provare a esaminare quelli che considero i due errori più classici quando ci si addentra in questa impresa. Questo articolo non ha la pretesa di accompagnarvi nell’intera caratterizzazione dei personaggi, ma di partire dagli errori più comuni e darvi la spinta giusta per proseguire.

MOSTRO NUMERO 1: LA LISTA DELLA SPESA

L’errore più comune in cui incappa un principiante è proprio la “lista della spesa”, vale a dire l’elencare tutte le qualità del personaggio in un paragrafo infinito. Spesso queste descrizioni somigliano a qualcosa del tipo:

Tizia era una ragazza solare, allegra e bellissima, infatti tutti i ragazzi le chiedevano di uscire. Era un’ottima cuoca e amava farci ingrassare con i suoi dolcetti. Oltre a questo, passavamo insieme interi pomeriggi a fare shopping.

Sorvolando sul fatto che un personaggio del genere sarebbe una perfetta Mary Sue, questa descrizione è praticamente vuota. Un po’ come quando abbiamo parlato della trappola degli aggettivi, ci accorgiamo ben presto che “solare”, “allegra”, “bellissima” non significano praticamente niente.
Se il lettore è una persona che esprime la sua massima allegria con un sorriso, penserà che questa sia la definizione di persona “allegra”; se invece è un tipo espansivo ed esuberante, nella sua testa immaginerà sicuramente una persona sempre positiva, che ride spesso e che è di supporto alle persone che la circondano.
Nel caso in cui dovesse esserci, all’interno della storia, proprio una scena di estrema positività che coinvolge il personaggio “allegro”, per la seconda persona che legge potrà sembrare normale, ma il primo lettore potrebbe addirittura trovare il personaggio esagerato e quindi OOC, cioè fuori dalla sua caratterizzazione!

In quanto scrittori, quello che dovete fare è parlare per immagini. I vostri lettori, mentre leggono, devono avere nella testa una scena dai contorti delineati, non un guazzabuglio di parole a cui non riescono a dare forma. A grandi linee, quindi, dovrebbero immaginare tutti la stessa scena, per evitare di dare adito a fraintendimenti su ciò che volevate descrivere.
Quello di cui avete bisogno, dunque, sono scene concrete, che il lettore possa immaginare senza difficoltà e, in certi casi, in cui possa anche riconoscersi.

Spesso i dialoghi sono un ottimo strumento per delineare i personaggi, perché il modo di parlare, la mimica e la prossemica dicono molto di più di un insieme di aggettivi. Proviamo quindi ad abbozzare un’alternativa rispetto alla lista della spesa.

Tizia si sedette accanto a Caia e indicò il cielo.

– Che bellissima giornata, non trovi? –

Caia la guardò di sbieco.

– Ma se sta piovendo…! –

Tizia sfoderò un sorriso talmente enorme da farle risaltare gli zigomi.

– Appunto: è il giorno perfetto per ritrovarci tutte quante a guardare serie tv sul divano con una bella coperta calda! Ovviamente, non mancheranno i miei muffin. –

Alla parola “muffin”, anche le labbra di Caia si piegarono in un sorriso.

In questo piccolo pezzo, ci siamo sbarazzati di “solare”, “allegra” e del fatto che è un’ottima cuoca. Abbiamo tralasciato il “bellissima” e i pomeriggi di shopping, ma nulla ci vieta di inserirli in una scena simile successivamente – magari proprio una dove Caia si lamenta dei compiti che deve fare, che le impediscono di dedicarsi allo shopping con Tizia.
In questo esempio, abbiamo anche abbozzato il rapporto tra Tizia e Caia in un modo del tutto naturale, benché il dialogo non sia niente di che. Il modo in cui parlano le due ragazze fa intuire che tra loro c’è un rapporto di amicizia piuttosto stretto, che non avreste recepito altrettanto bene se avessi scritto: “Tizia e Caia erano ottime amiche”.

Quello che dovete fare all’atto pratico, dunque, è descrivere scene che coinvolgano concretamente il personaggio che state presentando. Se nella storia lo avete definito con degli aggettivi, è perché nella vostra testa avete immaginato delle situazioni che vi hanno permesso di giudicare il personaggio in quel modo.
Ecco, non siate timidi: mostrate quelle scene anche a noi lettori!

IL GIUDIZIO DEL LETTORE E L’INSICUREZZA DELL’AUTORE
A questo punto, nel momento in cui scrivete una scena concreta, una domanda potrebbe sorgervi spontanea:
“Ma siamo sicuri che il lettore recepisca l’allegria e la simpatia di Tizia? E se invece la trovasse antipatica? Vuol dire che non ho caratterizzato bene il personaggio?”
Il trucco sta proprio qui: non è detto che il lettore trovi simpatico il vostro personaggio, né che la sua opinione su di lui coincida con la vostra, ma non è un problema di caratterizzazione.
In realtà, non è un problema in generale.
Il vostro scopo come autori, infatti, è quello di far sì che il lettore tragga le sue conclusioni mentre legge un dialogo o una scena che coinvolge il vostro personaggio, e le scene concrete sono un ottimo modo affinché questo avvenga, perché l’autore non dà alcun giudizio, ma si limita a riportare i fatti.
Certo, è possibile che in questo modo il lettore si faccia un’idea sul personaggio completamente opposta  rispetto a quella che avete voi, ma questo non vi deve spaventare.
Per esempio, infatti, potreste descrivere la vita di una ragazza che dedica il suo tempo al volontariato: alcuni potranno trovarla ammirevole, altri magari ipocrita, altri ancora penseranno che voglia lavarsi la coscienza.
Questa, purtroppo, è ordinaria amministrazione e infarcire le descrizioni di aggettivi non cambierà l’opinione del lettore sul personaggio che state trattando e, anzi, il lettore potrebbe trovarvi addirittura irritanti, perché avete la pretesa di intromettervi nel suo giudizio.

Questa è un’altra lezione che ho imparato e che vale in generale per la scrittura: non dovete dare giudizi. Il lettore deve essere libero di formare la sua opinione su ogni singolo aspetto della storia, dalla Grande Morale™ del vostro romanzo al personaggio meno importante.
La sola arma a vostra disposizione sono i fatti su cui costruire le opinioni e questi devono essere il più possibile oggettivi; parlare per immagini concrete è l’unico modo per non far nascere fraintendimenti su ciò che volevate trasmettere, al di là dell’idea che si farà poi il lettore.

Per cui, riprendendo la domanda iniziale: “Ma siamo sicuri che il lettore recepisca l’allegria e la simpatia di Tizia? E se invece la trovasse antipatica? Vuol dire che non ho caratterizzato bene il personaggio?”
La risposta è che no, non è detto che il lettore la recepisca, e sì, è possibile che detesti il personaggio. Questo, però, non è un problema di caratterizzazione (a meno che il personaggio non compia azioni fuori luogo per lui): lo scrittore deve limitarsi a riportare le scene e sarà poi compito del lettore esprimere un’opinione su quanto letto. L’importante, come dicevo, è che il personaggio sia coerente.

E non preoccupatevi dell’idea che si farà il lettore: il bello della lettura è anche questo.

MOSTRO NUMERO 2: LO SPECCHIO

Sì, mi rendo conto che sia comodo. Non avete la minima idea di come descrivere fisicamente il vostro personaggio e – voilà – ecco che uno specchio passava di lì per caso e il personaggio in questione ha deciso di usarlo per farsi una radiografia.

Specchio, servo delle mie brame
Anche la regina ha un problema con gli specchi.

È un’ottima scorciatoia, me ne rendo conto. Se ci riflettete un attimo, però, vi renderete conto di quanto sia inverosimile.
Chi mai deciderebbe di descriversi allo specchio in una brulla mattina di novembre, quando magari è pure in ritardo? Le scene allo specchio sembrano quasi suggerire al lettore che il personaggio non abbia la minima idea del suo stesso aspetto fisico, come se vedesse il suo riflesso per la prima volta. A meno che non sia il buon Filippo de “La maschera di ferro”, direi che una scena del genere suona quasi ridicola e ha il solo scopo di appiattire il vostro personaggio.
Ve lo dico, non esistono strumenti altrettanto efficaci come lo specchio, ma questa penuria di tecniche ci porta anche a una riflessione: è davvero necessario che il lettore conosca anche il colore delle pagliuzze dell’iride del vostro personaggio?
La risposta è: dipende.
Se il colore delle pagliuzze è importante, allora sì, è necessario che in qualche modo lo inseriate. Altrimenti, tagliate il tagliabile: è sufficiente che il lettore si faccia un’idea del vostro personaggio, non è necessario che sappia riprodurlo su un quadro.

A questo punto vi starete chiedendo: tolto lo specchio e il tagliabile, come faccio a dare informazioni sull’aspetto fisico del mio personaggio?
La risposta, in realtà, è sempre la stessa di prima: scene concrete.

Vediamo comunque un esempio pratico.

SPECCHIO, SERVO DELLE MIE BRAME
Come già detto, anche per le descrizioni fisiche ci rifacciamo sempre all’utilizzo delle scene concrete e, alla fine dei giochi, è proprio questo il segreto di un buon testo. Proviamo a vedere un esempio pratico anche per questa casistica.
Supponiamo, infatti, che la vostra protagonista sia una ragazza minuta e bassina. Come avrete capito, descrizioni del tipo:

Mi guardai allo specchio: ero minuta e bassina, avevo lunghi capelli rossi (ecc…).

o, peggio:

Mi guardai allo specchio: avevo una corporatura esile ed ero alta 1,55 m, capelli color ramato (ecc…).

sono da evitare.
Riprendendo anche quanto già detto, il primo esempio ha la pecca di utilizzare aggettivi che ciascuno di noi potrebbe interpretare diversamente (e in modo troppo vago), il secondo tenta di evocare una misura comune (l’altezza in metri), ma rende di fatto impossibile immaginare a quanto possa corrispondere se non si ha un metro a portata di mano.

Proviamo a rifare l’esercizio precedente e pensare a un’immagine concreta per descrivere questa situazione.
Qual è la peculiarità di una persona bassa? Quali sono le azioni che la caratterizzano? Per esempio, una persona con una statura non troppo elevata potrebbe avere difficoltà a raggiungere uno scaffale alto. E allora, perché non inserire una scena simile?

Era lì. Il succo di frutta la guardava dall’alto della sua mensola e sembrava che ghignasse.

“Non mi raggiungerai mai”, diceva.

Tizia allungò un braccio, sempre più su, le punte dei piedi che non potevano portarla più in alto di così. Le dita delle mani sfiorarono la mensola, coi polpastrelli riuscì a dare un colpetto al succo, ma fu tutto inutile.

Poi la mano di Caia sbucò da sopra la sua e strinse il succo senza difficoltà.

Tizia la guardò torva.

– Stavo per farcela, anche se non sembra! –

Caia sbuffò.

– Ma sta’ zitta, pel di carota! –

(tratto da “Le emozionanti avventure di Tizia e il succo di frutta”)

Come avrete notato, non c’è scritto da nessuna parte che Tizia è bassa, né quanto misura, ma in fondo è importante? Alla fine, tutti noi abbiamo in testa l’esperienza di non riuscire a raggiungere una mensola (siamo stati tutti bambini, no?), quindi, anche se non sappiamo quanti metri è alta Tizia, riusciamo comunque a metterci nei suoi panni e immaginare la scena. Inoltre, ne abbiamo approfittato anche per aggiungere una caratteristica fisica di Tizia: il colore dei suoi capelli.

Ovviamente, potevate anche solo descrivere la mano di Caia che afferra il succo in seguito ai tentativi falliti di Tizia, ma il punto è che il lettore ha il tempo di creare la scena nella sua mente, farla scorrere e viverla, e questo non solo perché è un’immagine concreta, ma anche perché attinge da un’esperienza che sicuramente tutti hanno vissuto.

CONCLUSIONI – IL PERCHÉ DI QUESTI ERRORI

Perché, dunque, si commettono questi errori? Sicuramente, una prima motivazione è la mancanza di esperienza. Imparare a ragionare per scene concrete richiede uno sforzo mentale non indifferente, perché è come se dovessimo vivere la storia fotogramma per fotogramma, catturandone ogni suono, ogni odore e ogni dettaglio. Il passo successivo è quello di trascrivere tutte queste sensazioni su carta e non è affatto un processo immediato, ma richiede molto esercizio.

Personalmente, però, non credo che questa sia l’unica motivazione, perché è possibile trovare questo tipo di errori anche in scrittori con uno stile più maturo. Una delle motivazioni che può spingere un autore a “condensare” tutto in un paragrafo potrebbe essere quella di non avere una pianificazione a lungo termine della storia. Se abbiamo pianificato solo i due-tre capitoli successivi, infatti, non possiamo sapere se avremo il tempo di fornire descrizioni più avanti; così, presi dalla fretta e anche dall’incognita dei capitoli successivi, mettiamo una toppa alla situazione con lunghi paragrafi che spesso risultano privi di spessore.
Se pensate che la vostra motivazione sia questa, qui potrete trovare consigli su come pianificare l’intreccio.

Nella speranza di esservi stata utile, vi saluto… Alla prossima!

UPDATE 07/03/2016: ieri sera, ho cominciato a leggere “Kafka sulla spiaggia” di Haruki Murakami, e sono incappata nella seguente descrizione:

“Poi osservo attentamente la mia faccia nello specchio sul lavandino. Vedo la faccia i cui tratti ho ricevuto in eredità da mio padre e da mia madre (…). Per quanto io desideri, non posso eliminare le lunghe e folte sopracciglia, con al centro un solco profondo, che con ogni evidenza ho ereditato da mio padre.”

Francamente, per quanto io ammiri Murakami, questa descrizione mi è sembrata davvero una caduta di stile. Il trucco dello specchio è perdonabile solo a scrittori alle prime armi, ma per quelli più affermati fa solo ridere, o almeno questo è ciò che ho provato durante la lettura.
Se poi le lunghe sopracciglia con il solco saranno importanti per la storia, ve lo farò sapere quando avrò terminato il libro…!

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