Primo esercizio del corso di scrittura

Finalmente ho trovato il tempo per stendere questo esercizio. Riporto in breve, dalla pagina Lezione Uno, il testo dell’esercizio:

“Per costruire il racconto, cominciate come vi pare e proseguite come volete, ma alla fine questo “inizio di storia” deve avere gli elementi di cui abbiamo parlato: un personaggio che ha un desiderio e una paura, da cui si evince la sua  “area di pericolo” (che è anche il tema), poi c’è un inizio di trama che lo spinge a fare scelte non casuali ma connesse alla sua “area di pericolo“. Fate muovere anche i personaggi che gli stanno intorno, ma cercate di crearli in modo che siano funzionali allo scopo, cioè che servano a mettere nei guai il protagonista, non in modo gratuito, ma rispetto ai suoi punti deboli.”

La lunghezza è massimo di 2-3 cartelle: una cartella sono 1800 caratteri (ho sbagliato nel post precedente), alla fine ho scritto 2 cartelle che sono circa 3/4 di una pagina word. Pochino, dunque, per sviluppare molto la storia. Bisogna condensare, e ammetto di aver avuto qualche difficoltà. Probabilmente nessuno si chiederà come andrà a finire dopo averlo letto, ma insomma, ci vuole esercizio. A ogni modo, ecco qui il testo (cliccate per leggere):

Amira non era una ragazza come tutte le altre. Aveva la pelle più scura rispetto alle sue compagne inglesi, un padre decisamente severo e un velo che le copriva la nuca. Frequentava un comunissimo liceo di Londra, ma non le era permesso il minimo sgarro in fatto di orari: come suonava la campanella, doveva correre subito a casa, pena una sonora e spaventosa sgridata di suo padre che la aspettava con l’orologio in mano. Tutto ciò aveva la complicità della vicinanza alla scuola: non distava più di 10 minuti a piedi, e Amira aveva sempre sospettato che la scelta non fosse stata casuale. Suo padre controllava ogni singolo aspetto della sua vita e, meno che mai, le permetteva di frequentare i suoi compagni di classe. Poteva scordarsi qualsiasi relazione con persone dell’altro sesso, seppur solo di amicizia – figuriamoci di altro. Inutile dire quanto questo la facesse soffrire, quanto desiderasse essere come le altre ragazze.

Era una fredda serata di dicembre, e la neve si depositava fitta sul davanzale delle loro finestre. Erano seduti a tavola e la cena si svolse come sempre: suo padre che sbraitava a destra e a manca, e lei e sua madre a tacere senza il coraggio di replicare. Dopo aver aiutato sua madre a sparecchiare la tavola, salì in camera sua e si addormentò ben presto, pensando alle lezioni dell’indomani che la aspettavano.

 

Il giorno seguente, Amira salutò il padre mentre lei entrava nell’atrio della scuola. Non appena si assicurò che se ne fosse andato, portò le mani alla testa e si sfilò il velo. Si avvicinò al suo armadietto per prendere i libri, quando notò uno strano bigliettino. Furtiva si guardò intorno; lo aprì, e rimase a bocca aperta quando ne lesse il mittente. Recitava: “Ti aspetto giovedì alle 21 davanti al Bounty. James”.

Non credeva ai suoi occhi. James era il ragazzo che da quattro mesi a quella parte la faceva fantasticare ogni sera prima di addormentarsi, che le faceva trovare la scuola stranamente piacevole, che la consolava col suo solo pensiero quando era triste. Dentro di sé fece i salti di gioia per quell’invito, cominciando già ad assaporare il loro incontro, immaginando una fitta serie di scene romantiche. Sperò di incontrarlo per i corridoi della scuola, anche se dall’altro lato temeva un simile avvenimento: cosa gli avrebbe detto? Probabilmente avrebbe solo balbettato come una sciocca.

Al suono dell’ultima campanella, salutò tutti alla velocità della luce, per fiondarsi in casa in tempo record: non voleva far arrabbiare suo padre, anche se sembrava sospinta da una forza inedita. La famiglia si mise a tavola e, solennemente, suo padre fece un annuncio.

“Vi comunico che giovedì sera inviterò qui a cena due persone molto importanti. Voglio fare bella figura su di lui, perciò vi prego di comportarvi in modo impeccabile.”

Amira sgranò gli occhi: giovedì, intendeva proprio quel giovedì?

“Padre, a dire il vero io…”

Suo padre sbatté le mani sul tavolo.

“Amira! Cosa vorresti dire? Osi far sfigurare tuo padre di fronte a preziosi colleghi? Taci! Giovedì sera farai gli onori di casa, e insieme a tua madre preparerai una deliziosa cena.” Il suo tono di voce si alzò repentinamente. “Ci siamo intesi?”

Amira annuì debolmente. Pensò all’appuntamento, alla sua unica occasione per avvicinarsi a James: se non fosse andata, avrebbe sicuramente pensato che non era interessata. E non poteva nemmeno parlargli a scuola; non le era concesso rimanere oltre le lezioni. Di disubbidire a suo padre non se ne parlava: l’avrebbe picchiata.

E mentre il suo cuore e la sua mente lottavano nel cercare un’adeguata soluzione, buttò giù l’ultimo boccone del pranzo.


Ho pensato a qualche modo più o meno crudele di mandare avanti la storia: ho immaginato che in realtà, dopo mille peripezie per raggiungere il luogo dell’incontro in assoluta segretezza, il bigliettino fosse uno scherzo di cattivo gusto. Ovviamente questo costerà caro alla povera Amira. Avevo anche pensato che lei poteva lasciare un bigliettino di risposta a James, dandole un altro appuntamento nei 5 minuti tra un’ora e l’altra, ma che per l’appunto la professoressa la trattiene in modo malefico per un’interrogazione o simile. Insomma, mi sono divertita a pensare a come inguaiare i miei personaggi.

Vabbè, ci vediamo prossimamente con nuovi esercizi… A presto!

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